Ho trovavo interessanti alcuni commenti fatti da persone di nazionalita’ cinese al video Racism for sale della BBC, in cui un gruppo di bambini africani grida all’unisono ‘Sono un diavolo nero! Il mio quoziente di intelligenza e’ basso! Il video era stato girato da un cittadino cinese, e circolava sul mercato cinese del razzismo animato (ne parlo nel post HeiGui: 黑鬼: razzismo animato).
Nei commenti al video alcune persone di nazionalita’ cinese si scusano per il video e si dicono orripilate. Ma un commento mi ha colpito (grazie Shi Yangshi per averlo condiviso!): viene da una persona che non aveva mai realizzato prima quanto razzismo trasudasse il mercato dei video con africani che cantano e ballano e recitano quello che i mercanti cinesi di immagini razziste dicono loro di recitare. Quindi il video della BBC e la sua risonanza se non altro permettono a qualcuno di prendere consapevolezza …
Sul razzismo cinese nei confronti degli Africani – e di chi ha la pelle scura in generale- le ambiguita’ restano molte. Ad esempio, la televisione di stato cinese che trasmette in lingua inglese a livello globale, da un decennio ormai ingaggia conduttori/conduttrici africani per i suoi notiziari internazionali che hanno i paesi africani come target. Ma, d’altra parte, la citta’ di Guangzhou, dove c’è la massima concentrazione di africani in Cina, si è distinta nel 2020 per comportamenti razzializzanti e commenti inaccettabili sugli Africani come portatori di Covid 19
Poco tempo fa è apparso un notiziario su WeChat, la app di messaggistica (controllata dal Partito-stato) usata da 1,2 miliardi di persone nel mondo, che offre servizi indispensabili per la vita sociale in Cina, tra cui servizi di informazione. Nel notiziario il recente esodo dalla Cina da parte di un numero crescente di stranieri (che trovano sempre piu’ opprimente vivere in quel paese) viene narrato in termini di superiorita’ del modello di vita cinese. Secondo questa narrazione, gli stranieri che lasciano il paese sarebbero quelli originari dall’Europa e dall’Africa, abituati a ritmi di vita lenti nei loro paesi, che lascerebbero quindi la Cina perché non sanno stare al passo con la moderna frenesia della vita in quel paese. Gli africani – ci informa il notiziario – nei loro paesi, ‘se hanno fame raccolgono frutta o vanno a caccia, se hanno sete bevono acqua di fiume’. Insomma, quando va bene nei media cinesi gli Africani vengono dipinti come primitivi indolenti. Questo è esattamente il modo in cui molti manager e lavoratori cinesi che lavorano in imprese cinesi in Africa descrivono i lavoratori africani: lo confermano ricerche etnografiche recenti come quella di Miriam Driessen sui lavoratori cinesi in Etiopia.
La questione del razzismo – che rimane sostanzialmente non contrastato- è certamente scottante per la Cina, come lo è per molti altri paesi. Ma diventa esplosiva se la si mette in rapporto con la crescente presenza e importanza della Cina nelle economie del continente africano.
In Africa il governo cinese si vende da anni come portatore di relazioni (economiche) win-win, cioe’ relazioni da cui sia la Cina che i paesi africani coinvolti hanno tutto da guadagnare. Quanta presa ha in Africa questa ideologia win-win? Quanto disposti saranno gli africani a bersi la storia del win-win se il razzismo verso gli africani non accennera’ a diminuire? Quanto saranno disposti a crederci visto che la Cina, alla stessa stregua di molti altri paesi, in Africa partecipa attivamente alla perpetuazione di scambi economici asimmetrici basati su rapporti ineguali di potere?
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insegna China in Africa e Sociology of Migration all’Università di Bologna. Ha tenuto il suo primo corso universitario su China in Africa all’Università di Vienna nel 2011, quando la comunità accademica internazionale e gli analisti nel mondo stavano appena iniziando a riflettere sulle implicazioni della crescente presenza cinese in Africa. Si occupa da decenni di migrazioni e di gruppi diasporici cinesi, con un focus in particolare sulle tematiche del lavoro, sulle interazioni con la Cina, e sul controllo diasporico digitale. È autrice del libro City Making and Global Labor Regimes. Chinese Immigrants and Italy’s Fast Fashion Industry (Palgrave-Macmillan, 2017).
Grazie mille della condivisione! Molto interessante!
Quando incontro qualche africano, se ne ho occasione, chiedo come valuta la presenza cinese in Africa e normalmente i commenti sono positivi. Forse c’è da considerare che, per cortesia nei miei confronti, non esprimano le situazioni più critiche, comunque mi sono fatto l’idea che il giudizio sia generalmente positivo. Credo che un altro aspetto da considerare sia che chi accetta un incarico all’estero sia predisposto positivamente verso il paese e i suoi abitanti, e quindi portatore di un atteggiamento migliore rispetto ai casi negativi che hai citato
Grazie, Marco, i sondaggi tra gli africani sul gradimento della presenza cinese in Africa variano di anno in anno ma in linea di massima non sono mai totalmente negativi, e a volte sono molto positivi. Ogni episodio di razzismo apre delle piccole/grandi crepe, ovviamente. Mi piacerebbe trovare il tempo per rendere conto in un post di come molti cinesi in Africa, compresi gli operai meno specializzati, si considerino portatori di sviluppo in Africa e, in quanto tali, superiori agli africani