Una giornalista sinoitaliana che vorrebbe scrivere un articolo su questo blog neonato ci chiede ‘perché NAOblog’?
Le risposte che si possono dare sono articolate, e per capirle nel loro insieme rimando ai post pubblicati in questi due mesi (e in particolare a quelli di Daniele Brigadoi Cologna che in maniera più diretta provano a dire chi siamo e perché ci è venuto voglia di fare NAOblog).
Io qui vorrei soffermarmi su due importanti ragioni per animare questo luogo di espressione collettiva.
In più di una riunione preparatoria per la nascita di NAOblog alcuni di noi hanno detto che immaginavano il nuovo blog come luogo dove poter (finalmente) parlare senza autocensura. Perché questo bisogno? In prima battuta si potrebbe dire che la Cina oggi non lascia spazio di espressione a chi sia in dissenso con il discorso ufficiale cinese, ne’ dentro ne’ fuori dai propri confini nazionali. E’ un fatto che sinodiscendenti e studiosi di Cina spesso non sono – o non possono permettersi di essere – indifferenti alle pressioni che la Cina potrebbe esercitare su di loro.
Oltre a censura e autocensura, oggi c’è una forte, epocale, pressione a schierarsi.
C’è un bel testo scritto da Frank Pieke nel 2020 – uno studioso che ha dovuto lasciare il suo prestigioso posto a capo di una think tank europea perché non intendeva schierarsi. Frank dice a chiare lettere che tra gli studiosi di Cina non si tratta piu’ di fare ricerca empirica seria e proporre riflessioni equilibrate e articolate (quello che definisce ricerca fine-grained). Oggi agli studiosi vengono richieste esclusivamente broad-brush characterisations or even stereotypes rather than non-partisan analysis’.
Due anni dopo, noi tutti, e non solo gli studiosi, siamo ormai spinti a schierarci dalla parte degli USA, la superpotenza storica, o dalla parte della Cina, la superpotenza in fieri.
Tanto per fare un esempio recentissimo: mi è appena capitato sotto mano un articolo nella rivista Quartz del 28 agosto. L’articolo informa che la Cina ha annunciato di aver cancellato 23 debiti ad alcuni paesi africani per mostrare il suo impegno di lunga durata in Africa. E, aggiunge l’autore dell’articolo:
”While specific details of the debt relief were not disclosed, China’s top diplomat appeared to criticize the US and Europe’s sanctions against Russia in its ongoing war in Ukraine. Yi said Africa wants “a favorable and amicable cooperation environment, not the zero-sum Cold War mentality…mutually beneficial cooperation for the greater well-being of the people, not major-country rivalry for geopolitical gains.” (—Alexander Onukwue, West Africa correspondent)
Dunque, a parte il ritornello cinese sulla cooperazione win-win tra Cina e paesi africani, questo momento di cancellazione del debito in alcuni paesi africani – su cui il portavoce cinese non fornisce dettagli – diventa occasione per attaccare lo schieramento opposto. Lo stesso avviene dalla parte avversa.
E’ diventata ormai routine il fatto che anche il più piccolo atto politico di Cina o USA (e rispettivi alleati) sia costruito, percepito, analizzato e venduto come mossa all’interno della rivalità tra le due superpotenze, della loro lotta per la supremazia mondiale, e della loro lotta per far prevalere ognuna il proprio sistema politico: quello ‘democratico’ e quello ‘autocratico’.
Anche se non tutto è semplicemente riconducibile allo scontro tra sistemi e alla logica binaria USA/Cina visto che ci sono altri attori influenti, e anche se ne’ USA ne’ Cina sono monoliti, oggi siamo comunque costantemente chiamati a schierarci. La complessità del mondo, ci viene detto, va ridotta esclusivamente ai due schieramenti contrapposti. Il non schierarsi viene inteso come schieramento camuffato.
Ecco, noi vorremmo sottrarci a questo. E non perché ci riteniamo super partes. Non lo siamo affatto! Siamo pienamente partecipi e implicati in quello succede, sia per il nostro coinvolgimento affettivo e intellettuale con la Cina (anche, e forse soprattutto, in termini di diaspora cinese) sia perché tutto quello che le due superpotenze fanno oggi ha impatti tremendi, immediati e forse irreversibili su tutti noi.
Rivendichiamo il diritto a prendere posizione di volta in volta senza essere schierati a priori. Vogliamo poter commentare, nel nostro piccolo, quello che succede e ci colpisce senza pre-giudizi. Sarà difficile ma è certo che in un’epoca come questa commentare senza autocensurarsi e senza essere schierati non è cosa da poco.
insegna China in Africa e Sociology of Migration all’Università di Bologna. Ha tenuto il suo primo corso universitario su China in Africa all’Università di Vienna nel 2011, quando la comunità accademica internazionale e gli analisti nel mondo stavano appena iniziando a riflettere sulle implicazioni della crescente presenza cinese in Africa. Si occupa da decenni di migrazioni e di gruppi diasporici cinesi, con un focus in particolare sulle tematiche del lavoro, sulle interazioni con la Cina, e sul controllo diasporico digitale. È autrice del libro City Making and Global Labor Regimes. Chinese Immigrants and Italy’s Fast Fashion Industry (Palgrave-Macmillan, 2017).
ci sarebbe tanto da scrivere su questo argomento e in effetti dovremmo parlare non solo dell’autocensura ma anche della cautela e della responsabilità sulle possibili conseguenze delle nostre azioni.
Parlare negativamente della Cina, in un contesto sempre più polarizzato, di creare delle ricadute negative anche sui cinesi in Italia.
Se si fa un intervento bisogna quindi verificare il contesto in cui questo si fa e se questo rischia una potenziale strumentalizzazione.
Questa cautela non è autocensura ma attenzione.
giusto Marco, attenzione a non creare problemi a se stessi e agli altri, soprattutto a chi ci e’ piu’ vicino. Ma dove sta il confine tra attenzione e autocensura?
Non credo esista una risposta unica ma è una bella domanda. Certo l’attenzione al contesto concreto e alla vita delle persone va sempre tenuta presente.
Il contesto attuale dell’opinione pubblica in Italia secondo me porta ad essere attenti a non alimentare la contrapposizione con la Cina.
La preoccupazione dei cinesi che vivono in Italia ma restano cittadini della RPC dove hanno spesso ancora famiglia e amici può spingere invece all’autocensura.
si, la questione della cittadinanza e di famiglia e amici in Cina e’ senz’altro cruciale, Francesco. E dovremmo dire piu’ esplicitamente che tra i diasporici l’ autocensura/attenzione a quello che si dice diventano centrali oggi non solo per la contrapposizione tra superpotenze ma anche perche’ la volonta’ e capacita’ della Cina di raggiungere i propri cittadini all’estero e’ aumentata in maniera esponenziale con la pandemia, e la Cina si aspetta che i suoi cittadini e i diasporici in generale aderiscano al discorso cinese. Quindi non solo guerra tra superpotenze – che in questi ultimi anni produce anche competizione tra sistemi democratico e autocratico – ma anche accresciuta volonta’ (e accresciuta capacita’) della Cina di coinvolgimento e controllo sulla propria diaspora.
Nella vita di tanti di noi c è e c’è sempre stato così tanto amore vero e disinteressato nei confronti della Cina e del suo popolo, che dover affrontare questa nuova situazione, mai potuta davvero immaginare prima, crea un grande e sincero dolore.
Spero che questo amore possa aiutarci tutti ed accompagnarci in qualsiasi fase futura. Parlare di amore può sembrare ingenuità ma rimane per me importante crederci perché è una forza profonda.
Che bello risentirti, Isabella, dopo decenni!!!! perche’ non scrivi anche tu un post per questo nostro blog?