推定罪责-普拉托和佛罗伦萨之间的中国菜园
In un articolo pubblicato pochi giorni fa su un giornale locale si paragona l’agricoltura cinese nella piana di Prato-Firenze a “un ordigno pronto a esplodere sia per l’ambiente sia per la salute dell’uomo”. In un articolo di poco precedente, gli orti cinesi vengono descritti come una minaccia per la salute pubblica e per l’ecosistema: al timore di specie invasive fa eco il sospetto vago per l’utilizzo di semi geneticamente modificati, pesticidi e diserbanti fuori norma, ci si chiede perfino quale acqua usino gli agricoltori cinesi (si potrebbe azzardare: la stessa che utilizza il “vicino di campo” non cinese?). Le prime campagne mediatiche contro questa nuova agricoltura risalgono al 2009 (e non al 2015 come scrive un giornalista). Gli anni passano, ma il tenore del discorso resta lo stesso: articoli vaghi, disseminati di inesattezze, fatti non confermati, scritti senza competenze botaniche, dove si confondono diserbanti , pesticidi e concimi, e dove queste imprecisioni si mescolano con virgolettati di supposti esperti che mettono in guardia da pericoli variamente assortiti e mai provati.
Cambiano dunque le firme dei giornalisti, ma il linguaggio è sempre lo stesso: maxi ortaggi, zucche/zucchine giganti (infatti non sono zucchine ma legenarie), melanzane anomale (sono melanzane allungate, utilizzate in mezzo mondo) etc.
Un giornalista scrive: “non si sa cosa venga coltivato”, ma avrebbe dovuto scrivere: “non ci interessa cosa venga coltivato”. Infatti in tanti anni non è maturata alcuna curiosità per queste “verdure anomale”, non si è sedimentato un granello di conoscenza nei confronti di questo patrimonio orticolo, nuovo per noi ma ricchissimo e antichissimo, e per i saperi a questo legati, sia culinari che medici (saperi che, parlando di salute pubblica, sarebbe tra l’altro utile divulgare). In questo racconto distorto la morfologia delle verdure cinesi (il loro presunto gigantismo per esempio) non sarebbe dunque dovuta a processi di domesticazione millenari (come invece è) ma all’uso di semi ogm, in un articolo pubblicato oggi si taglia corto parlando addirittura di “sementi illegali in Italia”, quando invece i semi di baicai o “brassica rapa pekinensis” (i famosi “cavoli giganti”), si possono acquistare ovunque, e vengono coltivati in tutta Europa da decenni. Mentre le maxi zucchine altro non sono che una variante asiatica della cucuzza siciliana.
In questi report giornalistici tutto si mescola: ipotesi, inesattezze e alcune falsità, molte paure non suffragati da evidenze. Ecco che un’impressione del tutto soggettiva diventa una prova schiacciante, e subito una sentenza di colpevolezza. La propria ignoranza è dunque elevata a parametro in base a cui giudicare la realtà.
Ma c’è qualcosa di più, si accusano i pochi ettari di orti cinesi della piana di inquinare la falda, cioè di rappresentare una minaccia mortale per la salute pubblica sulla base di mere presunzioni. Le enormi distese di monocultura adiacenti all’orto cinese sono di un arancione fluorescente? È l’indizio inequivocabile dell’uso di diserbanti, ma il proprietario non è cinese: l’occhio non vede e la penna non scrive. Inoltre quando si parla di falda acquifera dovremmo sempre ricordarci che questo territorio è inquinato da attività manifatturiere che precedono di decenni l’arrivo dei cinesi.
E così, nel pieno di una guerra e sull’orlo di una crisi alimentare ed energetica globale, si continuano a stigmatizzare le pratiche agricole di una comunità, quella cinese, che produce il proprio cibo a km0, e anzi si paragona quel lavoro a un ordigno esplosivo.
In un articolo pubblicato oggi (16 giugno) un giornalista mette in contrasto il paesaggio del “buon governo” toscano, esemplificato dalla villa medicea di Poggio a Caiano, con gli antistanti orti cinesi, dimenticandosi che proprio in questo luogo sono conservati i quadri di Bartolomeo Bimbi, dove coabitano frutta e verdura di origini diverse. È così che una società matura celebra la bio-diversità, non solo quella autoctona (che poi in agricoltura quasi niente è autoctono). Anzi, gli stessi orti cinesi di Toscana potrebbero essere candidati per diventare patrimonio UNESCO, certamente la loro esistenza è quanto mai in pericolo.
Leone Contini
Leone Contini è nato Firenze e vive a Carmignano (Prato).
Ha studiato filosofia e antropologia culturale all’Università di Siena. La sua ricerca si colloca lungo il margine di contatto tra arte e lavoro etnografico. Le sue pratiche includono narrazioni testuali e audio-visuali, installazioni, lecture-performances, interventi laboratoriali e azioni collettive.
Negli ultimi anni ha tenuto mostre o realizzato interventi presso: Vzigalica, Ljubljana; MADRE, Napoli; Pearl Art Museum, Shanghai; Kër Thiossane, Dakar; Maxxi, Roma; SAVVY, Berlino; HKW, Berlino; PAV, Torino; IAC, Lyon; Manifesta 12, Palermo; Fondazione Sandretto, Torino; Quadriennale, Roma; Fondazione Pistoletto, Biella; Mart, Rovereto; Delfina Foundation, Londra; Kunstraum, Monaco; Khoj, Nuova Delhi; Galleria Civica, Trento; Kunstverein Amsterdam; Museo Pecci, Prato; Villa Romana, Firenze. Nel 2018-2019 è stato borsista presso la Akademie Schloss Solitude di Stoccardat. Nel 2017 un suo progetto vince la seconda edizione dell’Italian Council e una sua opera viene acquisita dal Mudec di Milano. Nel 2017 ha collaborato con TRACES – Transmitting Contentious Cultural Heritages with the Arts.
Sito web: https://leonecontini.com/
@Leone Contini riesci a mettere qui il link all’articolo?
Ciao Sergio, ecco alcuni degli articoli in questione (ma è bene ricordare che si tratta di un format ricorrente, con variazioni sul tema dal 2009):
https://www.iltirreno.it/prato/cronaca/2022/06/12/news/si-espande-il-macrolotto-agricolo-serre-cinesi-a-rischio-inquinamento-1.41505990
https://www.lanazione.it/prato/cronaca/orti-clandestini-1.7786787
https://www.lanazione.it/prato/cronaca/orti-cinesi-nessuna-autorizzazione-per-coltivare-1.7835931