Il granchio espiatorio
aka La famosa invasione dei granchi blu a Comacchio

Immagine di Marco Wong

«dopo il tramonto, è cominciata la strana invasione […] Con mogli e figli al seguito […] Salgono anche sulle barche dei pescatori, rompono le reti […] Sono quaranta, cinquanta, anche cento alla volta».

La cronaca pratese, anche la più minuta, ha spesso implicazioni che travalicano la geografia della piana. Alcune settimane fa, su un giornale locale, è apparso un trafiletto: durante un fermo di polizia nell’area del delta del Po, un cittadino cinese residente a Prato è stato multato per detenzione illecita di pregiati granchi locali, definiti come il nuovo oro della sacca di Goro e il cui valore viene stimato dal giornalista in alcune centinaia di euro al chilo, per un incredibile totale di 15 mila euro. Prato caput mundi, crocevia di traffici interregionali, anzi vedremo intercontinentali. Nell’articolo il giornalista asserisce come «molto probabile» che i crostacei siano stati pescati usando lingue d’anatra come esca. Ipotesi intrigante ma che non mi torna, infatti le lingue d’anatra sono una costosa leccornia della cucina cinese, ed è inverosimile che vengano usate come esche, anche perché, sbaglierò, mi pare di aver visto quei granchi in vendita per cifre contenute. Sarebbe come pescare muggini con uova di caviale, penso. E poi associavo Comacchio a capitoni e anguille, non a prelibati granchi blu. Googlo, e sotto i miei occhi si dipana un groviglio di cronache padane, non dissimili da quelle pratesi, in cui è impossibile districare mito e realtà, e dove la logica stessa, limite all’umana immaginazione, si sfalda nel brumoso paesaggio del delta. L’alieno blu è il grande protagonista di questa strana epopea: si tratta di una vorace specie “alloctona invasiva”, originaria del nord America e la cui presenza mette a rischio il fragile equilibrio palustre del delta del Po, minacciando inoltre l’incolumità delle anguille e delle attività di pesca ad esse connesse. Sono tante le così dette specie invasive, sia animali che vegetali, che da anni ormai popolano la penisola italiana. Ma solo alcune tra queste diventano protagoniste delle narrazioni giornalistiche, travalicando il ristretto ambito delle politiche ambientali e del dibattito scientifico, per impersonare vizi e virtù della nostra specie egocentrica, come antiche divinità. Sappiamo del resto che il Po stesso è molto più di un fiume, essendo da alcuni decenni anche l’arteria pulsante di nuove comunità immaginate: la sua sorgente fu sacralizzata negli anni 90, ma anche nel suo delta si combatte una battaglia capitale (quanto confusa), in cui si mischiano frammenti discorsivi eterogenei: legittimi timori per l’alterazione di un ecosistema delicato e paure irrazionali di ordine identitario. Infatti… «dopo il tramonto, è cominciata la strana invasione»… sembrerebbe l’inizio di una saga etologica, ma il testo prosegue così, purtroppo: … «la strana invasione di cittadini cinesiarmati di torce. Con mogli e figli al seguito, vanno alla ricerca dei granchi blu. Salgono anche sulle barche dei pescatori, rompono le reti, usano la carne di pollo come esca»Ma finalmente, intervengono le forze dell’ordine autoctone, e lo stato naturale del mondo viene ripristinato grazie a un presidio militare: «la surreale “invasione cinese” è finalmente arginata».L’alieno blu, che in articolo precedente era descritto come perpetratore di crimini interspecie ed ecocidi, diventa improvvisamente bottino della razzia cinese in terra padana, oggetto conteso di desiderio culinario. E il flusso del racconto giornalistico finisce per impaludarsi in una paradossale identificazione tra granchi invasori e sapiens migranti, quasi che i «cittadini orientali» (bizzarra e ricorrente espressione giornalistica), essendosi nutriti del crostaceo, ne avessero acquisito gli attributi nocivi, mentre l’animale, che a pochi millimetri digitali di distanza è ancora un alieno minaccioso, si è nel frattempo misteriosamente trasmutato in rassicurante risorsa locale, integrandosi nel patrimonio culinario del delta insieme a capitoni e anguille. I sapiens alloctoni hanno infatti ormai caricato sulle proprie spalle tutto il peso della perniciosità del vorace predatore, tanto che non solo derubano i pescatori del prezioso granchio, ma intenzionalmente (nella doxa giornalistica, mistificatoria) danneggiano le reti per la pesca delle anguille, quasi a voler distruggere definitivamente i mezzi di sussistenza della comunità autoctona: esattamente lo stesso comportamento anguillicida attribuito al granchio sterminatore di biodiversità.

Che poi il granchio sia arrivato qui dall’America del nord contro la sua volontà dentro l’acqua di zavorra delle navi non interessa a nessuno. E del resto il destino dei granchi «privi di documenti» del trafiletto pratese da cui tutto è cominciato è stato infausto: i loro poveri corpi (il cui valore commerciale ho poi appurato essere rispettabile ma effettivamente contenuto), non hanno mai allietato le mense sino-pratesi, ma sono stati «distrutti» dopo un sequestro amministrativo, per volontà dell’ASL di Ferrara.

3 commenti su “Il granchio espiatorio <br> aka La famosa invasione dei granchi blu a Comacchio”

  1. L’articolo de La nazione è questo:
    https://www.lanazione.it/prato/cronaca/finanza-maxi-sequestro-oltre-200-chili-di-granchi-1.8107243
    il trafiletto purtroppo (o per pudore dell’autore) non è nemmeno firmato.
    Il granchio blu della Louisiana imperversa anche in Puglia, Sardegna, Lazio (https://initalia.virgilio.it/invasione-granchi-blu-italia-prezzo-super-62839) ed è effettivamente un problema per la fauna locale ed i coltivatori. I Cinesi non c’entrano nulla con il suo proliferare in Italia. Il giornalista manca anche di contestualizzare questo dato: sembra che tutti i problemi nascano a Prato. Prato caput mundi. Magari fosse così! 🙂 Però c’è da dire che nella provincia di Prato è stato rinvenuto un granchio “cinese”, altrimenti detto delle muffole. Uno di numero però. Quello sì, sequestrato: https://www.lanazione.it/prato/cronaca/granchio-cinese-1.5993206
    @LeoneContini che ne pensi?

    1. Mi documenterò meglio ma so che su quest’altra varietà di granchio ci lavora un giovane artista cinese che vive in Italia: lui lo vede come metafora della polizia cinese in Italia. Avevo riflettuto su quanto diversa fosse la nostra preoccupazione: per me il problema è il racconto xenofobo Italiano, per lui il controllo cinese in Italia (in realtà come prova dell’esistenza di forze di controllo cinesi in Italia mi mandò dei link di articoli scritti da giornalisti italiani che secondo la mia sensibilità utilizzavano linguaggio e contenuti xenofobi, ma evidentemente per lui l’urgenza era un’altra).
      Tornando alle questioni etologiche, la presenza del così detto muffolo in Europa risale agli inizi del secolo scorso, quindi precede certamente l’esistenza delle pescherie cinesi, che quell’articolo indirettamente incolpa. Pare sia arrivato qui esattamente come il granchio blu, nell’acqua di zavorra delle navi, contro la sua volontà e indipendentemente dalla presenza di comunità cinesi.

  2. Dieci anni fa, mentre facevo ricerca sul delta del Po, i pescatori locali mi raccontavano con toni tragici della presenza disarmante nelle acque del fiume del pesce siluro, introdotto credo dal nord della Russia per rendere più emozionante la pesca sportiva. Il pesce siluro può raggiungere infatti dimensioni considerevoli, rendendo la sua cattura una prova indiscussa di mascolinità. Mi chiedo se il pesce siluro goda ancora il favore della cronaca locale (e se sia riuscito a sterminare o meno la fauna ittica locale, sono ormai dieci anni – almeno – di conflitto aperto) o se sia stato rimpiazzato dallo charme innegabile del granchio blu.

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