“Il problema dei tre corpi” un problema di soft power?

Recentemente Marco Wong ha parlato su Naoblog della serie TV ‘Il problema dei tre corpi’, trasposizione di Netflix del romanzo di fantascienza di Liu Cixin, su cui in Cina era già stata fatta una serie TV.

Mi piace il taglio che Marco Wong ha dato al post, perché presenta la serie TV in relazione al soft power cinese. Il soft power, detto in soldoni, è l’arte di far desiderare e far fare agli altri quello che è vantaggioso per te (in quanto stato).

È stato inventato da Joseph Nye negli anni 1990 ed è diventato un concetto imprescindibile nella valutazione delle narrazioni che ogni paese offre al mondo per farsi bello. Quindi capire se la serie TV di Netflix costituisca un mattoncino nella costruzione del soft power cinese è davvero interessante.

Nel post si accenna alle critiche sull’allineamento dell’opera – e della trasposizione televisiva – alle posizioni ufficiali cinesi. Questo è un argomento che in parte si sovrappone al soft power, anche se non completamente, credo. Ma bisognerebbe rifletterci meglio.

In che modo dunque ‘Il problema dei tre corpi’ sarebbe allineato alle posizioni ufficiali cinesi?

Non ho letto il libro, ma nella trasposizione che ne fa Netflix, la rivoluzione culturale viene presentata come qualcosa di ottuso e pericoloso, addirittura mortifero. E la giovane che ha fatto morire il padre della scienziata durante una seduta di autocritica pubblica non si pente di quello che ha fatto, nemmeno dopo aver perso una mano in battaglia … La rivoluzione culturale viene presentata anche come delazione cinica, reiterata nel tempo. Come opportunismo bieco di molti. Quindi direi sostanzialmente in linea con il modo in cui è stata presentata da molti in occidente.

È anche in linea con la narrazione cinese? Di certo tira in ballo un periodo storico a cui in Cina non si fa riferimento spesso.

Sicuramente poi nella serie di Netflix la maggior parte degli interpreti è cinese, e questi sono tra i migliori scienziati del mondo. Questo è un elemento di novità per una serie Netflix, e porta indubbiamente acqua al mulino della dirigenza cinese, la quale punta molto sull’immagine della Cina come all’avanguardia tecnologica globale.

I viaggi in una specie di videogioco iperrealistico ma futuribile, in cui la scienziata protagonista deve salvare una ragazzina, ogni volta in un pericolo diverso, sono ambientati in una Cina classica. Andrà questo a vantaggio della Cina o a suo svantaggio, visto che quel mondo è assurdo, imprevedibile e irragionevole?

A me sembra che il punto in cui maggiormente si strizza l’occhio al soft power cinese sia l’inclusione di un’eminenza cinese nella trinità dei saggi che penseranno –ma non comunicheranno– le strategie per sottrarre la terra al controllo (mentale) alieno.

Il primo elemento della trinità è lo scienziato coinvolto nelle ricerche scientifiche (di pelle scura, se ricordo bene, quindi politicamente corretto);

la seconda è una combattente armena (donna, quindi un terzo della trinità che salverà il mondo è di genere femminile, anche questo sufficientemente politicamente corretto).

E il terzo? È un uomo cinese, e mi pare di ricordare che, diversamente dagli altri, non abbia alcuna caratteristica distintiva che giustifichi la sua presenza nella trinità eroica. Dunque uno scienziato, una combattente per la libertà e … un cinese!

Questo mi è sembrato il tributo gratuito alla Cina. Come se si dicesse che la Cina conta così tanto (negli equilibri mondiali) da dover stare di diritto nelle stanze in cui si decide. Ma poi mi viene il dubbio: se il terzo della trinità fosse stato un non cinese senza alcuna caratteristica distintiva, saremmo stati qui a chiederci a che mulino porta acqua? Eccesso di interpretazione?

Staremo a vedere nella prossima stagione cosa riesce a fare questo signore cinese per salvare il mondo e giustificare la sua presenza nell’eroica trinità al di là della sua appartenenza all’etnia Han.

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